Il giardino degli dei
“Il giardino degli dei” è un romanzo fantasy. Tutto inizia con la scoperta di un tunnel che conduce in un posto sconosciuto. In un mondo parallelo. E’ anche un viaggio alla scoperta di sé stessi, un percorso di crescita individuale che si sviluppa nel corso dei vari capitoli.
La storia è raccontata in prima persona da Agata che, diplomatasi da poco, trascorre tranquillamente le vacanze estive in attesa di frequentare l’esclusiva Scuola Moderna di Comunicazione. Ma la quiete viene interrotta dalla sua amica Emma che le propone di far parte di una spedizione per capire dove sbuca la misteriosa galleria…
Invece di mettere il mio nome, mi sono firmata con lo pseudonimo J. Livingstone (con la “e”). Questo per ricordare il famoso gabbiano Livingston (senza “e”). All’epoca, nascondermi dietro questo nome, mi faceva sentire libera di sognare, di volare verso altri lidi, seppur solo con la fantasia, alla ricerca di un mondo migliore, un mondo in cui rifugiarmi quando quello reale non soddisfava le mie aspettative.
Ho iniziato a scrivere questo libro nel 2001, all’età di vent’anni, e l’ho finito l’anno dopo. L’idea di questa storia è nata dopo l’esame di maturità, esperienza fondamentale ma che mi ha delusa per via della valutazione finale. Ho preso 99/100 e ci sono rimasta male. Allora mi sono chiesta come in qualche modo riscattarmi. La fantasia non mi è mai mancata e, pian pianino, nella mia testa si è formata l’idea di questo mondo parallelo e delle situazioni da viverci all’interno.
Nel film di animazione Fullmetal Alchemist “Il Conquistatore Di Shamballa” il protagonista si ritrova in un mondo parallelo (precisamente a Berlino nel 1923) in cui non può usare l’alchimia, che in quella dimensione (la nostra) non ha alcun potere.
È la strategia adottata da Delogu: e, nel suo caso, non potrebbe essere stato diverso, dal momento che in lui il ruolo del letterato non è mai andato disgiunto dalla responsabilità civile. Così, il Delogu viaggiatore porta costantemente con sé il Delogu analista sociale, e in tutte le sue scritture l’intreccio di stupore visivo e di memoria storica, di emozione vissuta e di riflessione generale è sempre molto stretto. In Cile, già negli anni Sessanta del secolo scorso, la sua curiosità appassionata di scriptor rerum si indigna alla scoperta degli innumerevoli massacri cui furono sottoposti gli indios. Francisco Coloane, l’autore di libri che anche da noi hanno circolato vivacemente (Terra del fuoco; Capo Horn; I balenieri di Quintay) e che Alvaro Mutis ha chiamato “il Jack London dei nostri tempi”, è colui che – quasi come un’imposizione – invita il nostro a visitare la Patagonia e la Terra del Fuoco. Impegno mantenuto.
L’antico Egitto, la Mesopotamia, la Grecia e Roma, la nascita della cristianità, i secoli bui, il Rinascimento e la Riforma, l’Illuminismo, l’industrializzazione, infine il raggiungimento della democrazia: questa è la nostra metà della storia, la nostra versione dei fatti. Ma c’è un’altra storia che scorre sotto la pelle dell’Occidente: parallela alla nostra, assente dai manuali scolastici, ma sempre più alla ribalta nella scena globale. La storia dell’Islam. La comunità musulmana, proprio come l’Europa, si è sentita per mille anni al centro del mondo: a partire dalla vita di Maometto, attraverso il succedersi di grandi imperi, fino alle lotte e ai movimenti ideologici che hanno sgretolato l’unità dell’islam e portato all’11 settembre e ai più recenti conflitti. Ma mai come ora è necessario che queste storie si incontrino. Tamim Ansary – metà afghano, metà americano – affonda le sue radici personali in tale duplicità, e proprio per questo si propone di colmare il vuoto che la cultura occidentale ha nei confronti di quella musulmana. Documentato e imparziale, questo libro fornisce una visione complementare indispensabile per sanare l’incomunicabilità tra due civiltà che hanno avuto storie diverse, ma indissolubilmente intrecciate, almeno fino a quando l’Islam ha realizzato che l’Occidente aveva dirottato a proprio favore il destino del mondo.