Il commissario Panetta si stava rigirando le fotografie fra le mani da almeno mezz'ora, prendendole dal tavolo e rimettendocele un attimo dopo per sollevare il telefono. Nell'arco di una mattina aveva ricevuto già più di quaranta chiamate. La prima ovviamente era stata del questore, poi otto dalla scientifica che continuava a rispondere boh e mah, trentuno erano di giornalisti sguinzagliati sul pezzo e quattro di mitomani male assortiti. Per ultima aveva chiamato sua moglie, tutta agitata dopo aver visto il notiziario della mattina. Non si capiva se si preoccupasse più dell'immagine pubblica o dello stomaco del marito. Forse lei lo avrebbe richiamato nuovamente se Panetta non avesse troncato brutalmente la conversazione. Nonostante avesse ingerito una forte dose di antiemetici, era più che evidente che quel giorno non sarebbe riuscito a pranzare. Quelle immagini lo ripugnavano. In oltre vent'anni di polizia non aveva mai incontrato una scena così inconcepibile. Stupri, squartamenti, macellazioni: di tutto aveva visto, ed era sempre riuscito a tenere a freno lo stomaco. Ma quel giorno sentiva che non avrebbe retto. Marciapiede e muri dell'alzaia del naviglio grande erano completamente ricoperti di viscere e sangue per circa sette metri di lunghezza. Le auto parcheggiate, i bidoni della spazzatura, un divieto di sosta e la bicicletta legata lì sotto: tutto era stato investito da una zacchera limacciosa. Sulla sponda opposta del naviglio c'era un bar. La testimonianza resa dal gestore collimava con i frammenti di documenti ritrovati. Fino alla sera prima, quel lago biologico era diviso in cinque individui. Quattro uomini e una donna. Tre ben piazzati, uno smilzo. Anche lei pare non sembrasse una fragile fatina. Cinque persone di cui non rimaneva alcun segno distinguibile. Di fronte a quello spettacolo inconcepibile la parte più difficile non era capire perché, ma come. Panetta aveva vagliato una possibilità via l'altra, tormentandosi di continuo i baffi grigiastri che sembrava coltivare apposta per quello scopo. Aveva escluso dapprima l'ipotesi del massacro a fuoco, data la totale impossibilità di recuperare anche un singolo bossolo nel raggio di metri, chilometri perfino. Anche l'uso di armi da taglio o urto non era così semplice. Forse venti uomini capaci di stare nello spazio di due avrebbero potuto fare una cosa simile. A volerci mettere per forza delle lame, tanto valeva ipotizzare un frullatore gigante pilotato da un qualche alieno invasore. Poi venivano le ipotesi di natura chimica, ossia acidi e basi oppure dinamite ed esplosivi vari. In quel caso la scientifica avrebbe detto la sua. Per finire c'erano quelle da cinema hollywoodiano, come le radiazioni. Su quell'ipotesi non sapeva nemmeno che pensare: com'è fatto un morto da radiazione? Si scioglie o si carbonizza? Non faceva un corso di aggiornamento da troppo tempo. Al quarto conato di vomito consecutivo, Panetta si decise a riporre le foto per dedicarsi agli altri incartamenti. Il barista aveva rilasciato una deposizione. Erano circa le tre di notte. Lui stava pulendo il locale. Era solo, dopo l'orario di chiusura. Uscendo a buttare un secchio d'acqua nel naviglio aveva sentito degli schiamazzi sulla riva opposta. Aveva visto degli uomini. Sì, forse anche una donna. Erano cinque. Ce l'avevano con un tizio. No, non lo avrebbe riconosciuto perché gli altri lo avevano circondato. A giudicare dalla voce, dovevano aver alzato il gomito un po' troppo. Avevano cominciato a spintonarlo. Poi erano diventati più aggressivi. Calci. Pugni. Il barista era tornato dentro per chiamare la polizia. Poi - e qui il commissario lo doveva scusare - aveva visto qualcosa che non sapeva come descrivere. Il commissario lo avrebbe sicuramente preso per pazzo, ripeteva. Forse era colpa del vetro; in effetti non lo lavava da giorni. Fatto sta che da dentro il capannello di quei cinque gli era sembrato di vedere emergere due ali. Proprio così, signor commissario. Ali nere. Nerissime. Solo quello aveva visto, e poi schizzi e sentito urla, ma era durato un niente. Secondi, davvero, forse a dir tanto un minuto. No, non aveva più guardato. La scena era inosservabile. No, non si spiegava come fosse successo. Già era felice che il commissario lo stesse ad ascoltare senza pensare che lo stesse prendendo in giro. Ali. Ali nere. Questo aveva visto. No, niente piume, almeno non gli sembrava. Solo nere. Panetta lo aveva ringraziato, ma in cuor suo un po' lo aveva detestato. Continuava a ciondolare gli occhi fra la deposizione del barista e le fotografie. Deposizione. Foto. Gesù. Deposizione. Ali nere. Foto. Ma come era possibile fare tutto quel pandemonio? Deposizione. Non c'era verso di spiegarselo. Foto. In quel momento il telefono squillò. «Panetta?» Era il vicequestore, uno così sbirro che nemmeno il resto della polizia riusciva a farselo andare a genio. «Sono io, signor Vicequestore.» «Qualche novità?» «Signore abbiamo raccolto la deposizione di una persona. Il gestore dell'esercizio sulla sponda opposta alla scena del...» Del? Come definirlo? «...del massacro.» «Cosa dice?» Panetta ingoiò secco. «Signore, è una testimonianza confusa, non so se verrà convalidata in sede processuale. Ritengo sia meglio continuare con le indagini.» «Tutto quello che vuole, ma almeno me la riassuma.» «Dice di aver sentito delle urla e di aver visto degli schizzi. Questo è, in sintesi.» «Nient'altro?» «Veramente...» Tanto valeva dirglielo, prima o poi avrebbe letto il rapporto. «Veramente sì. C'è dell'altro.» «Cosa?» Panetta fischiò dal naso, annaspando. «Ali.» «Come prego?» La saliva gli si trasformò in sabbia, rigandogli la gola mentre scendeva. «Il negoziante ha dichiarato di aver visto delle ali, signore.» Il superiore fece una lunga pausa. Poi riprese con un fremito nervoso nella voce. «Panetta, Panetta, Panetta... Io lo so cos'ha in mente lei. Mi dica se sbaglio: lei ha in mente di riesumare quel caso, non è vero forse?» Panetta fece lo gnorri. «Non la seguo: a quale caso si riferisce?» «Panetta non mi prenda per il naso! C'è un solo caso in cui in qualche modo ci entrino delle ali. E per fortuna, aggiungo. Non mi dica che non se ne ricorda. Non cerchi di farmi passare per fesso perché non c'è cosa che mi mandi più in bestia.» «Signore, io veramente... come posso dire? Io cerco solo di...» «Lei cerca solo di mettere a dura prova la mia pazienza, ecco cosa!» inveì con voce strozzata. «Io le proibisco categoricamente di rispolverare quel vecchio fascicolo, ha capito bene? L'ultima cosa che voglio è ritrovarmi la città invasa da una squadriglia di emuli che picchia e ammazza e fa scempio del primo che gli capiti a tiro. Spero di essere stato chiaro!» Il botto sordo della cornetta rimase per un pezzo a girare nell'orecchio di Panetta. Si distese sulla poltrona cigolante, appoggiando il capo dove mancava il poggiatesta. Il vicequestore aveva ragione: il negoziante poteva stare tranquillo, che il commissario gli credeva anche fin troppo. Perché di ali nere in giro per Milano Panetta si era già occupato. Forse per istinto di insubordinazione, forse per fare chiarezza fra i ricordi, andò a cercare il fascicolo nel cassetto dei casi irrisolti. Che poi era lo stesso dei casi in corso. Che poi era lo stesso in cui aveva appena riposto le fotografie della notte prima. Quando ci passò sopra con gli occhi, il suo stomaco non se lo aspettava. Un fiotto di vomito invase il cestino della carta.