Sta succedendo di nuovo. Sono in cinque. Mi stanno attorno e non la smettono di colpirmi. Gridano e ridono. Li imploro di smettere ma quelli se la godono come porci a suonarmele. Mi fa male dappertutto. Mi accascio per terra, stremato. La strada, la balaustra, l'acqua del naviglio, il ponte sopra la mia testa, il freddo della notte, tutto quello che mi circonda è risucchiato dentro un gorgo di china nera. Sento la faccia incurvarsi sotto la tensione, come se invisibili fili di nylon stessero tirando la pelle in direzioni opposte. La mia capacità di sopportazione sembra non avere un limite. I suoni sono soppressi, il tatto quasi eliminato. L'aria non ha più odore. Avverto due enormi ali schiantare il cemento dei muri attorno, erompendo dalla mia schiena come membrane innervate, desiderose di sfuggire a un ricettacolo assurdamente piccolo. Le mani lasciano scorrere fuori gli artigli senza che io avverta il minimo dolore. Mi ero ripromesso che avrei assistito a tutto, fino al compimento. Speravo che osservarmi cambiare mi avrebbe dato finalmente la serenità necessaria per accettare questo nuovo stato. Ma nemmeno questa volta mi è possibile. È tutto ancora troppo veloce, troppo nuovo, troppo estraneo. Abbandono la percezione del mio corpo in un estremo atto di scissione. Esalo un ultimo affannato respiro, ciò che i greci chiamavano anemos e noi abbiamo incautamente gonfiato, fino a dargli la dignità di anima. Da questo momento so di non essere più mio. Reclino la testa, l'unica parte in cui ancora risieda, qualsiasi cosa questo significhi. L'Altro fa il resto. Per un bizzarro gioco di equilibri mi concede di rimanere vigile, come fossi una sorta di super-io inerme al cospetto dei suoi istinti. È così che assisto impotente allo spettacolo macabro di quella repentina eliminazione. L'Altro soddisfa il suo desiderio omicida con tale spasmodica velocità da farmi temere che, annientati quelli, non ne avrà ancora abbastanza. Quei corpi così robusti, così sodi, così prestanti, non risultano essere altro che teneri e fatui involucri del più stupefacente complesso di liquidi e gelatine. Di quei cinque, alla fine, non rimane che un'omogenea e indistinguibile tela divisionista a tinte viscerali. Quando i lampeggianti illuminano d'intermittente blu il selciato lungo il naviglio, ho già ripreso sembianze umane e osservo la scena dall'alto di un cornicione. Mi sento distaccato, come un reporter che abbia filmato la caccia cruenta di una leonessa. È un vero peccato che i leoni non abbiano ali, penso. Sarebbero più belli.